storia acquedotti romani

Storia degli acquedotti romani: come venivano costruiti?

Oltre alle strade di cui mi sono occupato in precedenza, l’altro argomento dell’antica Roma che mi affascinò sin da piccolo era quello che riguardava gli acquedotti.

Piccoli e grandi. Abitando nella campagna romana, e venendo da una famiglia di agricoltori che spesso lavorava la terra a mano, era facile trovarne le tracce, sia minime, sia imponenti.

I Romani sono stati la più grande civiltà che abbia costruito acquedotti, lo hanno fatto più di duemila anni fa, ma con una tecnologia pari a quella moderna. Non avevano la nostra industria siderurgica, il motore a scoppio, le pompe di sollevamento e ovviarono a ciò con delle incredibili soluzioni idrauliche e meccaniche e con la qualità dei materiali da costruzione.

Quando lavoravamo alla indagini archeologiche preventive per la costruzione della linea del treno ad alta velocità, negli anni ’90, noi archeologi spesso scommettevamo con gli ingegneri su come fossero fatti gli antichi acquedotti che incrociavamo lungo la linea. Loro non conoscevano le antiche tecniche e vincevamo cene pantagrueliche.

L’acqua nella Roma delle origini

Quando Roma era poco più di un villaggio, per dissetarsi usava l’acqua di piccole sorgenti collinari, ma soprattutto quella del Tevere. Quando la città iniziò ad ingrandirsi, nel 312 a.C. fu costruito l’acquedotto Appio le cui sorgenti si trovano nell’area della via Prenestina, a circa 20 chilometri da Roma.

Ma il gruppo principale è quello degli acquedotti che hanno le loro sorgenti nella valle dell’Aniene. Gli antichi Anio Vetus e Aqua Marcia e i più recenti Anio Novus e Aqua Claudia.

Durante il III secolo d.C.

Nel III sec. d. C. Roma veniva servita in totale da 13 acquedotti. La quantità d’acqua che arrivava in un giorno a Roma era la stessa che veniva portata dal Tevere.

Gli acquedotti romani corrono generalmente sotto terra, poi, quando si presenta la necessità di mantenere la quota di scorrimento adeguata, vengono posti su delle arcate.

Come si costruiva un acquedotto?

Come si costruisce un acquedotto? Immaginiamo di trovarci in un campo aperto, in pianura. Il gromatico (il geometra dell’epoca) passava dal progetto al campo, segnando con dei pali il tracciato dell’acquedotto.
Alla distanza di 100 piedi (circa 30 metri) l’uno dall’altro venivano posti dei pali, nei punti in cui dovevano essere scavati i pozzi. Ogni squadra che scavava un pozzo era costituita da circa 30 persone. Arrivati alla quota prevista dal progetto, si iniziava a scavare la galleria, in modo da unire i pozzi l’uno con l’altro. La galleria era altra circa un metro e mezzo, come un uomo dell’epoca.

Lo scavatore, usando attrezzi come martelli (dolabra) e piccozze, produceva materiale di scarto che veniva raccolto con canestre di vimini, avvicinato al pozzo e poi portato fuori.

Nelle parete del pozzo venivano scavate delle piccole nicchie (dette in epoca moderna pedarole) che permettevano agli operai di salire e di scendere. Per misurare la lunghezza da scavare si usava una corda con dei nodi, posti alla distanza di un piede (30 centimetri scarsi) l’uno dall’altro, cosicchè dopo 50 nodi, ovvero 50 piedi, si era percorsa la metà della distanza tra un pozzo e l’altro e si incontrava la squadra che veniva dalla parte opposta.

A volte però le squadre non si incontravano e allora si battevano le pareti della galleria, a destra o a sinistra, per sapere dove si trovasse l’altra squadra. A quel punto si tagliava il terreno verso quella direzione e si univano le gallerie. Spesso, ispezionando i cunicoli degli acquedotti, si riscontra un’andatura ad esse, a riprova di quanto accadeva.

Ma la cosa incredibile è la quota di pendenza delle gallerie: 0,12%  per ogni miglio romano (quasi un chilometro e mezzo). Ciò veniva calcolato attraverso il corobate, una sorta di grande livella in legno che presentava un canaletto al centro e che utilizzava l’acqua per calcolare l’inclinazione. Quando non vi erano più rilievi e sarebbe stato impossibile mantenere la quota adeguata, il tunnel passava da sotto terra a sopra terra, tramite una torre piezometrica.

Lo speco quindi passava sopra a degli archi “trionfali”, i cui resti sono ancora presenti nella campagna romana. I Romani erano maestri nell’utilizzo di tecniche idrauliche raffinate, come per esempio quella del sifone rovescio. In antico l’acqua era il simbolo supremo della ricchezza di un luogo e Roma era piena di migliaia di fontane pubbliche, con acqua gratuita. Immaginatevi popolazioni che venivano dall’oriente o dall’Africa dove l’acqua scarseggiava, e a Roma trovavano una città zampillante.

L’acqua è stata la vera gloria di Roma.