capanne romane lazio

Le capanne della Campagna Romana come le capanne della Civiltà del Ferro Laziale

Scrivo queste righe in memoria di mia nonna Maria Savina che un mese fa mi ha lasciato, all’età di 97 anni.  Grazie a lei, che aveva una memoria eccezionale, ho scritto già due libri su questo argomento.

 

La Civiltà del Ferro Laziale

Quando all’università studiai la Civiltà del Ferro Laziale (IX secolo a.C.) e il popolo dei Latini, i fondatori di Roma, mi accorsi che il mio paese, San Cesareo, nacque allo stesso modo, perché le persone che vi abitavano avevano vissuto in capanne simile a quelle dei Latini.

Tremila anni dopo. Mia nonna nacque in una capanna nel 1921 e visse lì fino al 1928, quando entrò in una casa.

Nella Campagna Romana almeno sessantamila persone vivevano in capanne (i più fortunati) o in grotte. Come in quello che oggi è il quartiere dei Parioli. Le famiglie latifondiste romane non provvedevano all’alloggio dei lavoranti stagionali e così per almeno 9 mesi all’anno si adattavano in alloggi semi-stagionali. Era vietato loro di costruirsi case in muratura. Così la Campagna di Roma era costellata di villaggi di capanne in legno e paglia.

schema capanna romana

Questa situazione durava da secoli. Dopo l’arrivo degli italiani, nel 1870, si sperava in un cambio di situazione, ma ciò avvenne, e solo parzialmente, dopo quasi sessanta anni.  Gli abitanti di Capranica Prenestina, che si trova  sui monti Prenestini,  da secoli lavoravano stagionalmente nella Campagna Romana. Alla metà del 1800 la popolazione si trasferì in massa nel piano.

La politica intervenne, ma non combinò niente. Solo leggi di bonifica che però non vennero applicate.

 

La Prima Guerra Mondiale

La svolta ci fu con la Ia Guerra Mondiale e con la promessa della distribuzione delle terre ai contadini.

Nella Tenuta di San Cesareo, espropriata ai Rospigliosi Pallavicini nel 1919, venne progettata la distribuzione delle terre, ma in pratica nulla si muoveva. Poi con l’avvento del fascismo ci fu una presa di posizione netta.

In queste zone sin dal 1903 c’erano dei volontari che cercavano di sollevare le popolazioni contadine dalla condizione più bassa:  Angelo Celli, Sibilla Aleramo, Giovanni  Cena, Alessandro Marcucci, Duilio Cambellotti, Giacomo Balla, Enrichetta Nathan. E molti altri. I villaggi vennero visitati da Maria Montessori e da Giuseppe Lombardo Radice.

I villaggi degli abitanti di Capranica erano quattro: I Marcelli-San Cesareo, Colle di Fuori, Mezza Selva-Carchitti e Vivaro. Solo uno fu bonificato, San Cesareo. Perché si vedeva dalla ferrovia. Nel 1928 fu bruciato il villaggio di capanne e le persone furono messe nelle case.

Mia nonna aveva sette anni. Ricordava tutto e me lo raccontò. Fu fatta una vera e propria fondazione, dieci anni prima della bonifica dell’Agro Pontino.

Le capanne erano costruite senza chiodi ma con legature vegetali, coperte di paglia e scopiglio. Lo scheletro di pali di castagno. Erano alte, per il fumo del focolare che stava al centro. I letti tutti intorno. La pianta era ovoidale e sul tetto vi era un palo, il columen. Questo elemento le riportava alle capanne dei Latini.

Ora metterò molte foto d’epoca da cui si potrà capire.

Ciao nonna Maria.