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San Gregorio Magno

Il “servo dei servi di Dio”

Gregorio nasce a Roma, intorno al 540, nella nobile famiglia patrizia degli Anici. Subito dopo gli studi di diritto intraprende la carriera politica, che lo porterà a ricoprire la carica di governatore della città di Roma. Questa esperienza gli darà modo di  relazionarsi con l’urbe e le sue problematiche e gli farà maturare un profondo senso dell’ordine e della disciplina.

Alla morte del padre venderà tutti i suoi averi per fondare diversi monasteri ed aiutare i più bisognosi. Fattosi monaco entrerà nel suo monastero di Sant’Andrea al Celio conducendo una vita austera secondo i dettami di San Benedetto. Ma non vi rimase a lungo poiché Papa Pelagio II lo inviò come nunzio apostolico a Costantinopoli e al suo ritorno venne nominato abate di Sant’Andrea. Ma da lì a poco, con la morte del papa, verrà a sua volta eletto per acclamazione del popolo, del clero e del Senato di Roma, era il 3 settembre del 590.

A lui si deve l’elaborazione di un “Sacramentario” che costituisce il nucleo del Messale Romano. Fu fautore di importanti scritti di carattere pastorale, morale e spirituale, inoltre a lui si deve la celebre raccolta dei canti liturgici, che in suo onore tutt’oggi vengono chiamati “canti gregoriani”.

Durante il suo pontificato, diventò il più valido punto di riferimento per la città di Roma, falcidiata da eventi catastrofici (come la carestia e la peste) e minacciata dai Longobardi. Infatti, la debolezza del potere dell’imperatore romano d’Oriente mise in evidenza le sue capacità, trasformandolo così nell’unica guida politica ‒ oltre che religiosa ‒ della città. Un’esperienza, questa, che gli fece meritare l’appellativo di Magno, cioè il “grande”.

Tale fu il suo operato che i più grandi artisti, nell’arco dei vari secoli, si sono cimentati nel raffigurarlo. Sono così tante le opere che abbiamo solo l’imbarazzo della scelta.

In Vaticano, per esempio, abbiamo uno strepitoso dipinto di Jacopo Zucchi, custodito nella celebre Pinacoteca dei musei vaticani, che rappresenta l’evento leggendario legato alla “Salus Populi Romani”.

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Zucchi, Jacopo (1541 ca. – 1596) –
Processione di San Gregorio Magno 1578 – 1582
Proveniente dalla Basilica di Santa Maria Maggiore

Si racconta che per debellare la peste Papa Gregorio esortò i fedeli alla penitenza e alla preghiera, invitandoli a prendere parte, per tre giorni, ad una solenne processione penitenziale, che partendo dalla Basilica di Santa Maria Maggiore avrebbe dovuto concludersi presso la Basilica di San Pietro. Ma quando la processione arrivò in prossimità di ponte Elio, oggi ponte Sant’Angelo, Gregorio e la folla videro l’arcangelo Michele sulla Mole Adriana, che rinfoderava la spada,  un gesto questo che venne interpretato come segno celeste che preannunciava la fine dell’epidemia. Da qui l’uso di chiamare l’antico mausoleo Castel Sant’Angelo e l’immagine di Maria come “Salvezza del popolo romano”.

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Pellegrino Tibaldi – San Michele Arcangelo

L’immagine è così veritiera che ci sembra di partecipare ancor oggi all’evento, come se stesse di nuovo accadendo davanti ai nostri occhi. A tal proposito va ricordato come un altro grande della storia fece ripetere la stessa processione molti secoli dopo per chiedere l’intercessione di Dio e scongiurare la terza guerra mondiale, era il 1990, da poche ore era scoppiata la “Guerra del Golfo” e S. Giovanni Paolo II chiese ai giovani accorsi a Roma di ripetere tale processione e per i dieci giorni di guerra l’immagine della “Salus Populi Romani” rimase negli appartamenti papali e a lei  il Papa consacrò il destino dell’umanità.

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SALUS POPULI ROMANI
Basilica Papale di Santa Maria Maggiore – Cappella Paolina

Sempre in Vaticano, ma questa volta, nella Basilica di San Pietro, vi è l’altare dedicato a San Gregorio, la cui pala ci ricorda un altro evento legato al Santo.

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Altare e cappella di San Gregorio Magno, Basilica di San Pietro in Vaticano, Roma.

In  questo caso, la pala d’altare, opera di Andrea Sacchi, ci riferisce di un episodio realmente accaduto e molto significativo nella storia delle reliquie. Raffigura San Gregorio Magno, rivestito dei sacri paramenti, che al termine della messa mostra un panno “Brandea” che egli punge con uno stiletto e ne sgorga il sangue. Si racconta, infatti, che la Corte Imperiale di Costantinopoli aveva fatto espressa richiesta di avere le reliquie di San Pietro al pontefice; ma questi onde evitare di smembrare il corpo del Santo,  pur di accontentare l’imperatore era ricorso all’uso dei “brandea” che aveva riposto in un cofanetto. Tutto ciò deluse le aspettative imperiali che mandarono di conseguenza a Roma alcuni ambasciatori per restituire il cofanetto con il suo contenuto ed avere in cambio le vere “ossa del santo”. Per tutta risposta il papa invitò gli ambasciatori alla messa della mattina seguente e, alla fine del rito, tra lo stupore generale prese i “brandea”  e l’intaccò con uno stiletto generando il miracolo del sangue, dimostrando così che il solo contatto delle stoffe con il corpo del martire le rendeva autentiche  “reliquie”.

Gregorio Magno, difatti, è stato il primo papa a scrivere copiosamente sul potere miracoloso delle reliquie, ed è stato anche il primo papa a usare le reliquie di san Pietro come strumento chiave della sua diplomazia internazionale. Ma le reliquie che distribuiva non erano propriamente dei resti dei corpi dei santi. Si trattava invece di frammenti di tessuti o di metalli che erano stati a contatto con il corpo di un santo. In più di una dozzina di occasioni il pontefice inviò la limatura delle catene con cui era stato legato san Pietro per persuadere autorità civili o ecclesiastiche a sostenere le iniziative papali o per ringraziarli di averlo fatto.

Solo da questi due esempi se ne deduce che fu un Papa straordinario ma al tempo stesso restò un uomo semplice, tanto che nelle lettere ufficiali si definiva “Servus servorum dei”, “servo dei servi di Dio”, appellativo questo che i Romani Pontefici hanno continuato a conservare.

 

Alessandra Antonucci

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